In Madagascar si possono trovare quasi tutte le 151 specie di mammiferi esistenti, ma il gruppo più numeroso e famoso è rappresentato dalle 93 specie attualmente conosciute di lemuri. Queste simpatiche proscimmie giunsero sull’isola dopo il distacco del Madagascar dall’Africa, superando il Canale del Mozambico usando tronchi o rami galleggianti. Una volta isolati si sono potuti evolvere in maniera sorprendente. Ne esistono una grande varietà che spazia dal minuscolo “lemure topo” all’ormai estinto mega-lemure dalle dimensioni di un gorilla.

lemure

Per colpa di una superstizione l’ayè-ayè è quasi scomparso. Negli ultimi decenni del ‘900 erano presenti soltanto 30 o 40 individui nelle foreste del Madagascar.

Daubentonia madagascariensis è l’unico rappresentante vivente del suo genere e della sua famiglia mentre l’ayè-ayè gigante (Daubentonia robusta) è estinto da tempo. Non sopravvive più a causa della drastica riduzione dell’habitat ma soprattutto la causa è dovuta all’antica convinzione del popolo malgascio che la singolare proscimmia porti disgrazia e morte. Chi ha la sfortuna di vederlo lancia un urlo di terrore, “ayè-ayè” (da questo grido deriva il nome), e deve ucciderlo, pena la sciagura per tutto il villaggio. Essere indicati da un ayè-ayè, infatti, vuol dire essere condannati a morte, mentre secondo gli indigeni Sakalava l’ayè-ayè è l’esecutore delle sentenze del diavolo, che si siede sul petto del prescelto e gli buca il cuore nel sonno col dito medio. La sua carne è tabù e non può essere mangiata.

In realtà, questo lemure non teme l’uomo e spesso si aggira nei villaggi alla ricerca di frutta matura o uova, non esita, persino, ad entrare nelle case e quando incontra l’uomo, invece di urlare come si fa con lui, mostra grande curiosità.

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È il mammifero più raro del mondo, il risultato di una strabiliante storia evolutiva. È l’unico primate a possedere due lunghi incisivi da roditore che crescono continuamente. Ha grandi occhi tondi e sporgenti, segno dell’adattamento alla vita notturna, contornati da peli tattili. Sono grandi anche i padiglioni auricolari, molto mobili e privi di peli. Il mantello bruno picchiettato di bianco che lo ricopre, differente da quello degli altri lemuri, è composto da due strati di pelo di diversa lunghezza. Ma è la speciale conformazione morfologica delle mani che rende l’ayè-ayè unico nel suo genere. Tranne il pollice e l’indice, le dita terminano con artigli, inoltre il terzo dito è molto più lungo e sottile, ideale per estrarre larve e “insetti dagli alberi, come fa il picchio. E, non è un caso, poiché il picchio sull’isola non è mai arrivato e la sua nicchia ecologica libera poteva essere occupata. Con le sue grandi mani artigliate si muove agilmente sugli alberi di notte, ma le utilizza anche per forare gusci di uova e noci di cocco di cui è ghiotto. Si spinge, quindi nelle piantagioni di palma e ciò non è gradito ai malgasci, vera motivazione che induce gli indigeni a cacciare questo inoffensivo e straordinario lemure.

È difficile avvistare l’ayè-ayè, ormai confinato nelle aree naturalistiche protette quali: il Parco Nazionale di Ranomafana, il Parco Nazionale di Andasibe-Mantadia e la Riserva Speciale di Nosy Mangabe, dove numerosi individui furono trasferiti quando la specie fu “riscoperta” nel 1961.

In Madagascar almeno 15 grandi proscimmie si sono estinte dopo l’arrivo dell’uomo sull’isola, altre verso la metà del XVII secolo e, tra queste, una era davvero singolare.

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Il viaggiatore francese Etienne de Flacourt (1658) raccontava che il cosiddetto “tretretretre o tratratratra”, avvistato presso lo stagno di Lipomami, era un animale grosso come un vitello di due anni, con testa rotonda e volto e orecchie simili a quelle di un uomo, i piedi anteriori e posteriori come quelli della scimmia, il pelo ondulato e la coda corta. Questa creatura dal carattere solitario incuteva una grande paura ai nativi che fuggivano alla sua vista, e altrettanto faceva l’animale alla loro. Tutto ciò fu considerato, ovviamente, frutto della fantasia del viaggiatore ma, quando si scoprirono, alla fine dell’Ottocento, i resti sub-fossili di Megaladapis madagascariensis, lemure grande circa come un gorilla e con arti adattati alla vita arboricola, si rivalutò la fantastica descrizione dell’Autore francese. Il “grande animale” probabilmente apparteneva a questa specie, poco agile nell’arrampicarsi e nel lanciarsi di ramo in ramo, trascorreva la maggior parte del suo tempo appollaiato sugli alberi come un koala, divorando grandi quantità di foglie.

Occhi tondi e sguardo fisso, morbidi e simpatici, i lemuri si sono saputi adattare a diversi habitat e fonti di sostentamento. Gli Indri e i Sifaka vivono nelle foreste tropicali e si nutrono di foglie specifiche, i Catta, invece, sono abili nello spostarsi tra un ramo e l’altro delle foreste spinose nella regione sud-occidentale.

“Maki” e il nome con il quale i malgasci chiamano i Lemuri, che appaiono saltando con eleganza da un ramo all’altro, curiosi e attenti, affatto impauriti, sperando in un pezzetto di banana.