Monteverde: un nome, una realtà, una zona montuosa completamente verde, con pochi insediamenti urbani nascosti tra la vegetazione. Per arrivare abbiamo attraversato in barca la Laguna dell’Arenal, il capitano dell’imbarcazione si fermava avvicinandosi ad ogni avvistamento di volatile diverso dai “pilotes”. Con cortesia tutta “tica”, spiegava le caratteristiche essenziali dell’animale e puntualmente rispondeva “mucho gusto” ai nostri ringraziamenti.
Una volta sbarcati, per giungere a Monteverde abbiamo percorso chilometri di strada sterrata, ripida e tortuosa ma, soprattutto aggravata dalla pioggia incessante che tagliava l’aria e rendeva il terreno fangoso e scivoloso. Superato il pericolo, è apparso un paesaggio diverso, un altopiano a 1000 metri di altitudine, circondato dai monti, illuminato dal sole che faceva risplendere l’erba di verde smeraldo e riscaldava vaste estensioni di pascoli d’altura, dove regnavano, libere e placide, le mucche bianche e nere. Un’immagine idilliaca, pastorale in una zona tropicale, dove al sole cocente si alterna una pioggia invisibile ma persistente, che porta il vento da lontano.
La storia di Monteverde è unica in Costa Rica: una comunità di Quaccheri americani, convinti pacifisti, si stabilì sull’altopiano nel 1951, scegliendo per la propria esistenza questo Paese privo di esercito. La gente costruì fattorie sparse sui fianchi montuosi ad est del paese di S. Elena, cuore della Riserva Biologica del Bosque Nuboso de Monteverde, che riveste 10.400 ettari e comprende otto distinte zone ecologiche. In questi luoghi la varietà della flora è sorprendente, spazia dalle specie tipiche della foresta nebbiosa nana sulle cime dei monti a quelle peculiari della foresta pluviale dove le acque ristagnano creando vaste zone paludose. Ancora oggi, le abitudini locali seguono le tradizioni della cultura dei Quaccheri che, appena insediati a Monteverde, si prodigarono per la conservazione dell’ambiente e per uno sviluppo territoriale eco-compatibile. Nel 1972 iniziarono a salvaguardare il cuore della riserva, aiutati da alcuni scienziati desiderosi di proteggere le specie animali, peculiari di questi habitat, e a diffondere nei giovani il rispetto e l’amore per il loro ambiente naturale. il Centro Ecologico della Foresta Nebbiosa di Monteverde e la Società per la Conservazione di Monteverde si adoperano in tal senso, cercando di sensibilizzare i giovani “ticos” all’ecologia, fornendo loro una formazione naturalistica per diventare guide turistiche esperte e quindi un lavoro alternativo alle pratiche agricole non sostenibili. Oggi, numerosi lodge ecologici offrono ai visitatori l’opportunità di vivere a stretto contatto con il mondo naturale, con la travolgente biodiversità della foresta che in questi luoghi raggiunge l’apoteosi della sua intrinseca bellezza.
Inoltrarsi nella foresta nebbiosa è stato come entrare in un mondo diverso, primordiale, dove l’uomo, ultimo arrivato, visse per lunghissimi millenni spostandosi da un luogo all’altro, cacciando e raccogliendo gli elementi naturali utili per la sopravvivenza, alla stregua di tutti gli altri animali; un mondo dove al sole non è permesso di splendere, dove la bruma avvolge tutto e la pioggia incessante rende l’aria talmente umida da rendere difficile il respiro. Ma non è l’inferno, e un vero paradiso naturale. Nel rigoglio di verde assoluto, i tronchi degli alberi appaiono ricoperti di muschi , licheni ed orchidee. Lo spesso strato di foglie morte e altri elementi organici decomposti rendono il suolo particolarmente fertile e la vegetazione fittissima si dispone su due strati arborei, dai 40 metri di altezza al sottobosco caratterizzato da felci anche di grandi dimensioni e bambù alti fino a 5 metri. Tra le tante specie animali osservate, abbiamo incontrato l’armadillo, invece, nella foresta riservata al lodge. La sua tana era prossima alla strada principale che conduceva alle stanze degli ospiti, distribuite lungo il fianco della montagna. Dal corpo tozzo e rinforzato da placche ossee sul dorso, l’armadillo raggiungeva la dimensione di circa un metro e con il lungo muso, le grandi orecchie e i piccoli occhi neri era intento ad annusare ogni millimetro di suolo. Posseggono zampe robuste e corte, provviste di tre dita che terminano con artigli e quando abbiamo osato avvicinarci troppo, l’armadillo, invece di appallottolarsi chiuso nella sua corazza impenetrabile, è corso via scomparendo velocemente nella sua tana. Questi animali durante la notte scavano profonde tane articolate da lunghi cunicoli e piccoli antri sotterranei e si nutrono principalmente di insetti e di piccoli rettili che vengono stanati con i possenti artigli. I nemici naturali sono i giaguari che, tuttavia, riescono con fatica a sopraffare un armadillo adulto. La corazza è l’arma di difesa principale ma curiosamente non viene usata spesso: l’armadillo preferisce infatti scappare, piuttosto che contare sulla propria corazza, come ha fatto per fuggire dalla nostra invadenza.
Dalla terrazza della stanza, situata nel punto più alto del “El Establo”, il panorama era totale, un vasto oceano colorato delle più svariate tonalità di verde e in lontananza, come il profilo di nuvole nere, appariva la sagoma della Penisola di Nicoya, bagnata dal Pacifico che le donava riflessi argentati. Aspettavamo il tramonto quando il sole scompariva all’orizzonte confondendosi con il mare e dipingendo di rosso le nuvole e il cielo.
Alcuni Paesi proteggono e controllano le loro risorse petrolifere e si arricchiscono. Il Costa Rica sta facendo la stessa cosa con la sua immensa ricchezza naturale. Non c’è petrolio in Costa Rica, né oro, né diamanti, né uranio, la sola ricchezza è la foresta, la sua risorsa è la biodiversità.