Rincon de la Vieja è il vulcano più grandioso tra i colossi della cordigliera del Guanacaste. Un cono con due cime e nove bocche vulcaniche, imponente, ammantato di boschi e ribollente di gas solfurei. Il Parco Nazionale che lo racchiude comprende ecosistemi profondamente diversi sui due versanti, quello caraibico soggetto a forti piogge e quello del Pacifico caratterizzato da periodi di siccità. Un Parco per tutti i gusti, dall’eccezionale esuberanza della foresta pluviale d’altitudine alla cupa esplosione di vita della foresta nana nebbiosa; dalla savana dorata dal sole con prati erbosi carichi di arbusti ed alberi isolati, al paesaggio ridente e tranquillo dei villaggi e delle cittadine come Liberia, capoluogo del Guanacaste e porta d’ingrasso per il Parco Nazionale Santa Rosa e per la Peniisola di Nicoja.

Il cratere Von Seebach, sulla cima del Rincon, fuma costante e tranquillo grandi nubi di vapori, che risalgono verso l’alto in soffici cumuli biancastri e infondono nell’aria effluvi solforosi, testimoniando così l’intensa attività geotermica della regione. Le manifestazioni evidenti del vulcano attivo danno luogo a paesaggi danteschi ma, al contrario degli inferi di Dante dove regnava l’oscurità, il ribollire accanto a noi splendeva sotto il sole caldissimo e più che l’inferno sembrava un vero incanto. Nella foresta che circondava le piscine termali era tracciato un sentiero che s’inoltrava nel fitto bosco, dove alberi alti fino a 30 metri facevano da tetto naturale al folto strato di piante più basse. In certi tratti la jungla verdissima si trasformava, animata da pozze giallastre gorgoglianti di gas che diffondevano fumo e cumuli di vapore.

Le fumarole e le polle di fango ribollente del Rincon de la Veija sono originate dall’acqua piovana che si infiltra in profondità nel sottosuolo e raggiungendo il magma si surriscalda, sgorgando in superficie a temperature che raggiungono i 50 gradi centigradi.

Vedere iguane giganti girare a proprio agio intorno a noi era ormai un’immagine ricorrente, come le scimmie confuse coi rami che agitavano le chiome più alte, oppure il colibrì col becco a spada ficcato nei fiori che imitava il ronzio degli insetti, ma di uccelli multicolori e appariscenti ne comparivano sempre diversi come l’intraprendente garza dal ciuffo golabianca, che osava rubare frutta e pane dai tavoli del ristorante.

Il sole tramontava davanti alle nostre finestre, scomparendo dietro la sagoma scura del Golfo del Pappagaio. La compattezza della foresta buia contro la luce rossa del tramonto, incantava lo sguardo, dava l’impressione di un mondo infinito e magico, capace di rigenerarsi a velocità strepitosa per inghiottire tutto.