È l’alba e il sole che nasce dissolve presto l’umidità della notte. Siamo pronti per intraprendere il tour del Nord sulla Grande Terra, insieme ai nostri amici malgasci, Giacomo il Cicerone e Stephan il nostro “taxi-driver”.
Un viaggio del tutto particolare, alla scoperta di un piccolo lembo di paradiso dell’Oceano Indiano: un frammento di quando la Terra era unita in due soli continenti, una mescolanza di genti, di razze, di sguardi. La regione del Nord del Madagascar, regno di arcipelaghi, catene montuose e verdi paesaggi rimasti immutati nel tempo, si estende dall’Altopiano vulcanico di Ankaizina, dove spiccano i due massicci montuosi di Ambrondona e Tsaratanana, fino alla punta più settentrionale della Grande Terra, Cap d’Ambr.
Nel nostro viaggio abbiamo ammirato soltanto alcune delle meraviglie che questa terra offre a chi la visita e a chi cerca di comprenderla. Per centinaia di chilometri, è stato un susseguirsi di paesaggi sempre diversi: vulcani e montagne calcaree erose dal tempo, dall’acqua e dal vento, mangrovie, sabbia bianca e mare color del cielo, foreste pluviali, distese infinite di palme, fiumi, laghi e i peculiari baobab che, come narra una leggenda, furono piantati a rovescio, con le radici al posto della chioma. Madagascar, il santuario della natura e il suo ricchissimo museo, è l’eden dei naturalisti e il problema esistenziale dei protezionisti. È il villaggio con le capanne di legno e paglia, è l’improbabile strada dissestata lunga centinaia di chilometri che congiunge il passato con il futuro, sono i carri trascinati dagli zebù, sono gli studenti che passano allegri in bicicletta, è il bambino col naso sporco e dagli occhi struggenti che ti guarda sorridendo, è lo splendido viso di una donna dipinto con l’argilla. Il Madagascar è un mondo unico, un universo dai mille volti, vecchio come è vecchio il mondo, ma dove tutto è diverso dal vissuto quotidiano di noi occidentali, è il Paese dove la normalità è la varietà, dove la natura si esprime a modo proprio con estrema originalità e fantasia.
Naufrago o avventuriero, l’uomo si è intromesso solo 1.500 anni fa, arrivando dall’Indonesia, dalla Polinesia e dall’Africa. Non si conosce veramente una preistoria per questa Terra meravigliosa. Forse un popolo originario è ormai scomparso, insieme all’ippopotamo nano, all’uccello-elefante, ai lemuri giganti e alle altre migliaia di specie animali e vegetali che troppo presto si sono arrese all’avanzata dei primi uomini sbarcati sull’isola.
In questo spettacolo della natura non si vedono mattoni e cemento, i villaggi del popolo malgascio sono costruiti in legno e paglia, non ci sono elettrica ed acqua corrente, di notte il buio è totale, solo miliardi di stelle che avvolgono tutto, così vicine da sentirti perduto.
“Andiamo a vedere un luogo moderno. Una paese ricco, più importante di Antananarivo”. Con queste parole Giacomo e Stephan ci accompagnano a Antsiranana, Diego Suarez, la più estesa e rinomata città del Nord. È sede di un piccolo porto e raccoglie solo 200.000 abitanti ma, girando per le vie, si respira un’atmosfera vivace ed accogliente. Una città cosmopolita, dove si incontra gente di tutti i tipi, arabi, indiani, cinesi e creoli. Le strade sono in relativo buono stato e le case coloniali bianche e basse sono retaggio del passato, quando i francesi fecero della città un porto franco, ricco e libero. Diego Suarez è situata all’interno di una splendida ed ampia baia di sabbia bianca e mare trasparente, dove affiora in evidenza il simbolo della città, il Pan di Zucchero, Nosy Lonjo, un isolotto a forma di cono quasi perfetto.
Il nostro viaggio prosegue verso le grotte sacre dell’Ankarana. In questa regione calcarea l’erosione carsica, nel corso di milioni di anni, ha creato numerose grotte abitate da diverse specie animali. Gli indigeni collegano questi luoghi a miti e leggende dei loro antenati e, quindi i fady delle grotte, i tabù dettati dai defunti, assumono un significato ancora più intenso. Intorno alle grotte si estende il Parco, una lussureggiante foresta tropicale che ospita numerose specie di lemuri, pipistrelli, uccelli, rettili e anfibi.
Proseguiamo in automobile ancora per molti chilometri ma, questa volta, non si tratta di una strada dissestata ma di un vero e proprio sentiero accidentato, talmente disastrato da farci perdere a tratti la speranza di arrivare. Abbiamo sopportato per circa due ore sobbalzi e scosse continue che sembravano torturare solo noi due, poiché Stephan, guidando, continuava tranquillo a fumare, bere acqua e masticare kat mentre Giacomo, completamente rilassato, ha persino dormito.
Ma ne è valsa la pena! Ciò che abbiamo visto non ha eguali, è l’immagine simbolo della stravaganza paesaggistica di questo Paese. Artefice, ancora una volta, dello spettacolare paesaggio dei Tsingy rossi è l’erosione dell’acqua e del vento sulle rocce calcaree. Così, nel corso del tempo, sono nate particolari morfologie, uniche al mondo: suggestivi pinnacoli di roccia rossastra sfumati di bianco. Lasciata l’automobile e Stephan, che non ci vuole seguire, ormai abituato a quello spettacolo, dopo un lungo cammino, scendiamo in una valle scavata nel calcare dove spicca un paesaggio lunare, fragili creste rossastre simili a stalagmiti, circondate da terra rosso fuoco, i Tsingy. Si tratta di un’area protetta, senza guardiani, senza recinti, senza neppure un cartello indicatore. A completare questa incredibile scenografia della natura è stato il sole, che lentamente tramontava e per descrivere la suggestione e il sentimento non bastano le parole!